A differenza di quanto è avvenuto nel nostro sistema finanziario, dove per molti anni l’unico titolo pluriennale era proposto a tasso variabile, altrove le emissioni di titoli del debito pubblico offrono quasi esclusivamente cedole costanti.
E dunque il Btp, nelle sue denominazioni nazionali, è certamente il debito pubblico più diffuso a livello mondiale. Non da noi, dove l’amore per i Bot ha orientato flussi di risparmio destinati alle emissioni pluriennali sui titoli indicizzati.
Solo di recente i Btp hanno occupato spazi sempre maggiori nei portafogli degli investitori medi e piccoli, mentre trovano larga accoglienza in quelli istituzionali quali Banche, Assicurazioni, Sim e Società.
A indirizzare i grandi operatori verso questi titoli è certamente la capacità di difesa degli investimenti, in periodi di discesa dei tassi. Se i rendimenti di mercato diminuiscono, le cedole indicizzate dei titoli in emissione verranno ridotte, e adeguate al ribasso, mentre non subiranno alcuna modifica quelli dei prestiti a cedola fissa già calcolati.
Le conseguenza positive saranno di due tipi: mantenendo in portafoglio il titolo, si continuerà ad incassare le cedole molto più elevate rispetto a quelle che offrono le nuove emissioni e, al tempo stesso, il prezzo del titolo aumenterà di valore, perché dovrà adeguare il proprio rendimento a quello di mercato.
In pratica, dal momento che l’emissione pagherà sempre le stesse cedole, e quindi offre un rendimento costante, per far si che quest’ultimo diminuisca, occorre che il prezzo del titolo salga: un maggior costo di investimento iniziale riduce direttamente il reddito che si incasserà globalmente.
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